“Vite di Madri” e “Le dee del miele” di Emma Fenu
Recensione di Elvira Rossi
“Vite di Madri. Storie di ordinaria anormalità” è un romanzo di Emma Fenu edito da Milena Edizioni nel 2017.
Con un libro si stabilisce un primo contatto fisico e la riflessione iniziale è scaturita proprio dall’osservazione della copertina, che ritrae una figura femminile con dei piccoli tra le braccia.
Di notevole impatto emotivo l’immagine per la sua fissità bambolesca rischia di trasmettere una sensazione d’inquietudine, che si dissolve nel potere espansivo di quell’abbraccio, capace di accogliere nel seno materno un numero infinito di creature.
A questo punto la rappresentazione si ravviva e acquista l’anima di Grande Madre.
Il sottotitolo “Storie di ordinaria anormalità”, senza svelare il segreto, indirizza il lettore alla scoperta di una prospettiva inedita, da cui sarà considerato il tema, sintetizzato con efficace semplicità nel titolo “Vite di madri”.
La struttura inconfondibile del romanzo sorprende per la sua originalità, infatti si compone di parti inconsuete, che integrandosi armonicamente risultano tutte significative per lo sviluppo della storia.
Ogni sezione contribuisce alla definizione di una forma singolare di narrazione, che supera la prevedibilità di uno schema prefissato.
Una peculiarità del testo è costituita dalla presenza di citazioni, che sempre in perfetta sintonia con il contesto propongono pause di riflessione ed escursioni nell’immaginario letterario.
Le intrusioni letterarie proiettano i sentimenti ritratti in una dimensione temporale e spaziale più ampia.
Le storie hanno una propria autonomia e potrebbero essere lette anche senza tali sequenze, che come un intreccio di fili colorati impreziosiscono una tela già completa di trama e ordito.
L’eccentrica soluzione dei richiami letterari è condotta con grazia femminile e rievoca gli eleganti giochi d’intaglio di tessuti antichi, che nei loro simboli cromatici racchiudono l’identità di una cultura.
Similarmente l’insolito innesto caratterizza le tendenze estetiche dell’autrice.
Nella prima parte Emma Fenu si racconta e si lascia raccontare e chiarisce la genesi del componimento.
Il cuore del romanzo è costituito da tredici storie di donne e, come la stessa scrittrice spiega, il numero non è casuale.
Nulla è affidato al caso: la scelta di ogni elemento ha una sua ragione di vita.
Donne che attraverso un percorso lacerante di sofferenza, per non lasciarsi morire, saranno costrette a reinventarsi una nuova esistenza, capace di accogliere ferite eterne e incancellabili, senza disperdere la forza di amare.
Sulle macerie dolenti del proprio vissuto con coraggio dovranno ricostruire un diverso equilibrio interiore, che stabilisca la concordia tra ombre di vita e immagini di morte.
“Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma (…) la vita li costringe ancora molte altre volte a partorirsi da sé”. (“ Vite di madri”, capitolo terzo,numero sei, citazione tratta da Gabriel Garcia Marquez “L’amore ai tempi del colera”).
Storie di donne, non solo per le donne: pensate e scritte per tutti gli esseri umani di ogni genere, purché dotati d’intelletto e soprattutto della facoltà d’immergersi nell’afflizione altrui e nella forza rigeneratrice di una persona, che riemergendo dagli abissi saprà custodire nel riserbo dell’animo il proprio strazio, difendendolo dallo sguardo ottuso e profano degli indifferenti.
Storie vere, normalmente vere, che spingono il lettore a superare l’angustia deformante di una concezione idealizzata di maternità.
Le donne vittime di un imbroglio culturale, quando saranno chiamate a vivere realmente la maternità e ne avranno scoperto gli aspetti problematici e conflittuali, si sentiranno inadeguate e in colpa, a fronte di modelli mistificati di perfezione.
Il libro di Emma Fenu spinge il lettore a riflettere sul concetto stesso di maternità, introducendo dubbi su come essa sia stata rappresentata fino a oggi.
L’appendice, curata da Sabina Cedri studiosa di Semiotica, non è una semplice aggiunta, infatti si pone in continuità con la parte narrativa sia per uno stile curato e gradevole di scrittura sia perché tende ad analizzare l’influenza esercitata dai media sulla cristallizzazione di una concezione alterata di maternità.
Tutto il romanzo è un invito alla lettura e alla riflessione, emoziona l’anima e smuove l’intelletto, diletta attraverso l’estetica della parola e nello stesso tempo ci libera di qualche pregiudizio. Mediante le storie di singole donne si entra nell’universo femminile, si scoprono la massima espressione della loro creatività generatrice e anche le oscillazioni minacciose del labile confine, che si pone tra la gioia e la sofferenza, tra la vita e la morte.
Alla fine della lettura ci accorgeremo che avremo smarrito qualche certezza e avremo incontrato un’idea di maternità più autentica e vera nella sua poliedricità. Ci sarà restituito una visione sincera della maternità e tanto vasta da non escludere nessuna donna, neppure quelle sterili, rese tali dal destino o da una scelta personale.
In base a un’ipotesi ardita, la maternità intesa come capacità di amore e di accoglienza potrebbe essere riferita a tutti gli esseri al di là del genere.
L’autrice, Emma Fenu, non lo ha pensato, non erano queste le sue intenzioni, ma un libro nei lettori trova più madri, madri adottive, che accarezzano, cullano come proprie creature i personaggi partoriti dal ventre di altre donne e che, talvolta, stupiscono per le loro spregiudicate interpretazioni.
Il libro stabilisce un contatto con la schiettezza di storie vere che, pur essendo generate dalla realtà, abbandonano i tratti dell’informazione e della cronaca e si trasformano in pagine di letteratura.
I travagli dell’anima trasfigurati dalla seduzione della parola scritta ci fanno entrare nel mondo incantato delle emozioni.
L’autrice non si pone al di fuori delle storie, vi accede sempre con discrezione e sensibilità, s’identifica in una molteplicità di situazioni e come una madre condivide gli spasimi delle figlie, avverte profondamente la loro vulnerabilità e la loro forza.
Indicativo e illuminante è il ricorso a una citazione di Pablo Neruda:
“Ognuno ha una favola dentro, che non riesce a leggere da solo. Ha bisogno di qualcuno, che con la meraviglia e l’incanto negli occhi, la legga e gliela racconti”.(“Vite di madri”pag.31)
L’autrice si lascia accogliere dal vissuto dei suoi personaggi e acconsente che siano loro a raccontarsi attraverso i pensieri e le azioni.
Emma Fenu, mentre sviluppa le storie, appare in perenne dialogo con se stessa, esplora la dimensione femminile, per scavare nel proprio animo, demolisce gli ultimi pregiudizi, quelli più sottili e nascosti, più difficili da scovare, per restituire prima a sé e poi agli altri uno spazio di totale liberazione da scorie antiche.
Il rapporto della scrittrice con la realtà è chiaro: Emma Fenu assume l’atteggiamento fermo di chi non ha paura di scoprire l’enigma dell’essere femminile e le infinite sfaccettature della sofferenza. Ama smascherare le menzogne ingannatrici e accoglie il dolore per dominarlo.
Le protagoniste delle storie non sono mai vittime e neppure eroine, sono semplicemente e unicamente donne.
La scrittrice non indulge mai nella lacrima e nella facile commozione, non ricorre mai a parole consolatorie.
Entra con naturalezza nella carne e nello spirito di queste creature, ne condivide i turbamenti e attraverso la comunicazione letteraria le sottrae a uno stato di solitudine.
Non è mai interessata a esprimere un giudizio morale, si pone solo come osservatrice attenta e studiosa della condizione femminile.
Anche in questo romanzo, come ne “Le dee del miele“, lo sguardo di Emma Fenu è diretto essenzialmente ai personaggi femminili e le figure maschili si riducono a poche e marginali comparse, quasi a sottolineare che le donne in molte circostanze tipiche della loro esistenza sono lasciate in un vuoto di presenze o di comprensione.
Non mancano, però, storie in cui il singolare delle donne diventa plurale per una presenza maschile, che sa condividere difficoltà e sentimenti.
Emma Fenu dimostra di possedere una visione positiva della vita, è aperta alla fiducia, dimostra di credere che dalla solitudine si possa uscire attraverso gli affetti e la conoscenza.
“E io, all’improvviso, so che il mondo esiste. Che è bello, anche se la mia mente non è del tutto sgombra per apprezzarne in pieno la bellezza. Ma altri la percepiscono e anch’io tra poco tornerò a sentirla”. ( “Vite di madri”,capitolo terzo, numero quattro, citazione tratta da David Grossman, “Che tu sia per me il coltello”. )
La scrittrice confida sia nell’evoluzione delle singole coscienze che in una maturazione collettiva degli esseri umani. Per lei la parola letteraria non è solo comunicazione di stati d’animo, diventa anche strumento di cambiamento.
Sempre rispettosa del passato e delle tradizioni, vive fortemente ancorata al presente e lo analizza con gli occhi protesi in direzione di un futuro privo di preconcetti.
Il linguaggio del romanzo vuole essere letterario e non ama confondersi con il minimalismo di certi registri colloquiali.
La lingua comune sicuramente non sarebbe stata idonea a raffigurare le mille sfumature di realtà interiori complesse, che possono essere espresse dalla voce densa dell’anima e della poesia e non solo da quella distaccata della ragione.
Emma Fenu non si affida alla rappresentazione scenica dei sentimenti e in particolare del dolore, ma li tratteggia attraverso l’efficacia e la potenza evocativa della parola.
Il linguaggio figurato contribuisce a mimetizzare la drammaticità delle situazioni e a smuovere l’animo, pur evitando il sentimentalismo languido.
La scrittrice ama ricorrere alle comparazioni, alle analogie, al linguaggio figurato, tuttavia la preziosità di certe espressioni è come assorbita e mitigata da uno stile sintattico prevalentemente semplice e lineare.
La scelta accurata e multiforme delle forme lessicali e le opportune diversificazioni delle strutture sintattiche, esulando senza esitazione dalla monotonia, rendono accattivante e piacevole lo stile di scrittura.
Autore: Emma Fenu
Titolo: Vite di Madri. Storie di ordinaria anormalità
Edizione: Echos Edizioni, 2015
Chi avesse letto il secondo libro di Emma Fenu, “Le dee del miele“, potrebbe anche avanzare delle osservazioni interessanti.
È possibile cogliere la tendenza dell’autrice ad adattare le scelte stilistiche alla specificità dei temi e delle atmosfere, infatti in questo testo è rispettata l’esigenza di un linguaggio che, pur essendo ricco di simboli, conserva una sua misura e risulta confacente alla trattazione di un mondo attuale.
Tale duttilità è sicuramente un tratto ragguardevole. Nel secondo romanzo di Emma Fenu il linguaggio diventerà più sofisticato, ma tale scelta è spiegata dalla trasposizione in una dimensione traboccante di tradizioni arcaiche e miti.
A noi lettori non resta che attendere il prossimo romanzo della scrittrice, per continuare con la sua complicità il viaggio nell’immaginario letterario.
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