“Le Dee del Miele” di Emma Fenu

Recensione di Mirella Morelli

"Le Dee del Miele"

Quando ho preso il traghetto sapevo già di avere un appuntamento.

Il mare era vasto, troppo vasto, e il traghetto era lento, troppo lento.
Impaziente scrutavo l’orizzonte.

E con tanta autoironia – ma dolce, però! – pensavo a Ulisse, e poi agli esploratori, quindi agli avventurieri. Niente da fare: proprio sempre, e solo, uomini.

Il mio viaggio in Sardegna era alla ricerca di motivi, di emozioni, di radici.
Di tagli netti e recisi.

Di ritorni brevi, e nuove amare partenze.

Di mai più, mai più su queste sponde.

Appena scesa, ancor prima di giungere in albergo, sapevo che il mio appuntamento era lì a un passo, ormai.

“Le Dee del Miele” mi aspettavano. La macchina correva nella campagna brulla e deserta e il mio sguardo vergine di Sardegna beveva assetato ogni profilo, ogni odore, ogni sfondo.

Poi, finalmente, arriva la sera. La mia lettura in terra magica e reale può iniziare, ed è quasi un rito che si compie: “Le Dee del Miele” di Emma Fenu finalmente lì, fra le mie mani. In terra di Sardegna.

Odori, accenti, suoni.

La magia tutta da scoprire, in ogni ape, in ogni segno.

In ogni folata calda di vento, una janas.

In ogni volto di uomo, o di donna, le proprie umane ed esoteriche origini.

"Le Dee del Miele"

Perchè il libro di Emma Fenu si rivelava subito questo: una ricerca di se stesse e delle proprie radici che solo chi ha solcato un mare, e ha posato sguardi altrove, può scrivere con tanta passione.

Le Dee del Miele” come fiaba e verità, ciò che è stato che ci spiega perché siamo, l’immaginifico che compenetra ogni nostro passo.

“Tzia, ce le mette a cuocere le lumache trovate nei rovi, addormentate ai piedi delle pale di fico d’India? Così mangiamo anche carne, oggi!- disse, porgendole il bottino e un sorriso, un ragazzino di tredici anni. Caterina pensò, con orgoglio, che avrebbe saputo cucinare una pietanza saporita perfino con una pietra.”

"Le Dee del Miele"

Caterina è la prima grande donna-dea che mi prende per mano e mi accompagna. La sento con me. E’ nell’aria, e vuole che “senta”.

Esco nel vento -quel vento sardo sempre così insistente, che costringe arbusti e alberi a sviluppare tronchi forti e tozzi senza mai svettare in altezza – e mi avventuro di nuovo lontano dall’orizzonte di mare, alla ricerca della terra stabile.Quindi sorrido alle pale de fichi d’India ai cui piedi immagino lumache addormentate: sono ovunque, lungo gli aspri declivi. Di nuovo un’ape mi sorvola, a ricordarmi miele, e ancora miele. Chiudo gli occhi, ascolto i battiti del cuore che accelerano e subito il libro è lì.

“Le Dee del Miele” si insinua nella mente:

“Tum Tum Tum.

Le palpebre serrate, sigillate da ciglia incollate da lacrime mai sgorgate nelle gote, schegge di ghiaccio conficcate nelle carni.

Tum Tum Tum.”

Di nuovo la macchina percorre strade tortuose; cartelli mi avvisano di una “discesa a mare n.1” e poi via via le altre, e man mano i sentieri si inerpicano nelle pinete, con la sabbia che giunge fino al manto stradale ed ecco che, incredula, mi appaiono spiagge rocciose aspre o a strapiombo – ora rosse, ora nere. E sempre il vento scuote le fronde compatte degli arbusti alle mie spalle.

Poi finalmente eccolo, il paesino, e ha case basse lontano dalle rocce scure, perchè il mare laggiù sembra così ostile e impassibile a ogni umano cruccio, e cosa c’entra il mare con chi lì, sull’isola, ha l’intero mondo per sé?

“Fiera e altera, Lisetta sa bella percorreva la via stretta, fitta di casupole basse che si reggevano le une alle altre, come galline in un pollaio, che dalla villa conducevano alla Chiesa del paese, in stile seicentesco”

E anche la chiesa è lì, fredda nelle sue alte mura di pietra, buia nelle sue strette finestre gotiche.

Nessuno in giro in questo pomeriggio assolato. Nessun rumore, se non quello dei miei tacchi sul selciato, anch’esso in pietra. Chiudo gli occhi: e sono io Lisetta sa bella.

Dapprima Caterina, ora Lisetta: già due donne mi accompagnano. Respiro con loro il profumo del mirto, e il mare è così lontano

Alla sera il ristorante mi accoglie, coi suoi profumi – i suoi turisti vocianti – il suo tramonto languido sull’acqua. Fortuna il cameriere:  testa mora come la bandiera,  ride del mio accento spiegandomi che “rocca ja” vuol dire roccia viva, e certo siamo sull’ennesima roccia, mentre il sole è lì, che muore come solo a morire si riesce guardando un orizzonte sfumare nel nulla. Poi, profumo di pane!

E di nuovo “Le Dee del Miele” si affaccia alla mente, con le sue suggestioni:

“Nel dormiveglia osservava le fanciulle e le anziane, leste api operaie che stemperavano il lievito madre, sa mamma, in una terrina, insieme all’acqua tiepida, impastando poi con la farina e abbandonando il composto per la notte intera, anch’esso a riposo come loro stesse(…) Così iniziava la giornata, con il profumo del pane civraxiu che penetrava nelle narici e raggiungeva il cuore…

Torno in albergo con le narici ancora frementi alla ricerca di odori, e mi addormento con il rumore delle onde che si infrangono fragorosamente, chissà dove, chissà dove… Questo è opera di Sa mama ‘e su Ventu, penso prima di addormentarmi, e confusamente mi chiedo se domattina incontrerò Sa mama ‘e su Sole…Scivolo nel sonno, e sogno intrecci di onde, chiome e pale di fichi d’India.

Al mattino dopo in spiaggia osservo bambini in lontananza correre con retini in mano, sospirando granchi e ricci tra le fessure degli scogli.

All’improvviso l’ennesima ape sorvola il mio lettino, fa alcuni giri controvento, sembra planare sul telo, poi sparisce per un attimo e infine sorvola i miei capelli. Rido, pensando che non ho mai visto tante api sulla spiaggia, o mai tante come da quando sono in Sardegna. Api profumate di polline, api per “Le Dee del Miele”.

Sento di fianco a me i passi di Caterina e Lisetta cui si aggiungono quelli di Marianna, e sul lieve pareo che ho poggiato sulle spalle adesso sento il soffio del respiro di Eva. Ho un fremito nel petto: “Ti aspetto, Lavinia”.

Il libro è quasi terminato, il mio viaggio pure.

Sono piena di asperità e dolcezze, scogli e rocce lisce, api ricamatrici del vento e parole suggestive in un libro, “Le Dee del Miele”, antico eppure fatto apposta per i nostri giorni.

Sono piena di nomi femminili e preghiere, credenze e amori profondi, storie di femmine e di solitudini.

Sono piena di forza e di consapevolezza:

“Caterina (…) disse alla nipote: “Tu non sai chi sono le janas” (…)

“Credo siano porte…

“Ci sono porte che tu potrai valicare. Hai il dono. Fanne buon uso”(…)
Tu hai il dono. Fanne buon uso.”

Ancora una volta mi risuonano nella testa le parole de “Le Dee del Miele” mentre raccolgo la sacca, e il telo da mare colorato, e gli occhiali da sole. Andiamo!, mi esorto.

Un fiotto di calore emozionato mi avvampa il viso: sono pronta a valicare ogni porta, sì. Sono pronta a riprendere la nave, a lasciare quelle sponde, e come una Ulisse donna in un eterno viaggio di ritorno – oh, giammai di partenza! – posso guardare l’orizzonte, anche quello che lascio alle mie spalle.

Io ho il dono, e mille janas mi accompagnano, e mille menarchi e mille litanie riempiono l’aria mentre penso che è sempre una donna quella che si avventura, che lascia l’isola per poi inventarsene una nuova… sulle onde, sulle onde, ancora e mille volte sulle azzurre onde.

“C’era un tempo in cui Dio era Donna. Anni che si declinano in epoche durante le quali Dee bellissime, misteriose ed enigmatiche erano tramite fra terra, mare e cielo.

Dee della Luna e del Sole.

Signore della saggezza, della profezia e della fertilità.

Amazzoni che cullavano in tempo di pace (…)

Janas che tessevano sui telai della Storia, Parche che annodavano e non solo tagliavano (…)

Vergini e Madri, sacre per il solo fatto di essere femmine, tramite fra il finito e l’infinito, fra l’ieri e l’oggi, fra la vita e la morte.”

Nome libro: “Le Dee del Miele”
Autore: Emma Fenu
Genere: romanzo
Editore: Milena Edizioni
Pubblicazione: aprile 2016, 146 pagine, versione cartacea, anche in ebook

Sinossi:

“Le Dee del miele” è una storia, ispirata alla realtà, che si snoda attraverso tutto il Novecento, ambientata in una Sardegna intrisa di mito e memoria.

In tale contesto, in cui si fonde un universo parallelo di spiriti, fate e demoni, spetta al mondo muliebre vegliare sulla vita e sulla morte.

Le protagoniste sono, infatti, quattro donne: Caterina e Lisetta, fanciulle che non si conoscono, ma che diverranno consuocere; Marianna, figlia adottiva di Lisetta; e Eva, figlia di Marianna. Sono creature diverse fra loro, per ceto sociale e vissuto, ma legate dai fili del destino fino a divenire parte l’una dell’altra, tramite un cordone ombelicale di sangue, luna, farina, miele, mistero, esoterismo e agnizioni.

Sarà Eva a riannodare il filo rosso di mestruazioni, parti e aborti delle sue antenate e a scoprire il vero segreto del “dono” di famiglia.

Questa è, dunque, una storia di Donne.

Donne madri, forti come Dee, capaci di rinascere dopo infinite eclissi. Donne mamme, lune piene, dolci come miele. Dee del miele.

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