editoria e leggeIo pubblico da sola – 2

Alla scoperta dell’editoria 2.0 e degli autori del terzo millennio

Di Antonia Romagnoli

Continuiamo il nostro percorso per comprendere meglio il panorama editoriale odierno.

Dopo aver conosciuto la microeditoria, cerchiamo di capire insieme qualcosa di più di come funziona il mondo dei contratti editoriali e di come l’attuale legislazione influisce sul mercato editoriale.

Per farlo ho chiesto aiuto a Marina Lenti, avvocato specializzato in problematiche editoriali e autrice del blog Editoria e Legge, oltre che saggista e autrice.

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Ciao Marina e benvenuta su Cultura al Femminile.

Entriamo subito nel vivo con una domanda difficile: tu conosci molto bene il mondo degli autori e quello degli editori, sempre in prima linea fra contratti, questioni di plagio, diritti violati. Quale credi sia oggi il male peggiore che affligge il mondo degli editori? E quello degli autori?

Buongiorno a tutti e anzitutto grazie per l’invito!

Per quanto riguarda gli autori, la piaga più diffusa è, purtroppo, il mancato pagamento, da parte degli editori, delle royalty pattuite contrattualmente. Spesso si tratta di poche centinaia di euro, per cui questi editori si fanno forti del fatto che difficilmente un autore si rivolgerà a un avvocato per via dei costi. Tuttavia l’autore può sempre chiedere un preventivo senza impegno al professionista e poi fare le proprie valutazioni.

Un altro problema è la burocrazia, o anche solo la malavoglia, di alcuni editori nel distribuire tempestivamente e in quantità sufficiente le copie per gli eventi organizzati dall’autore.

Al terzo posto metterei l’editing invasivo o, addirittura, ritrovare nel testo modifiche non concordate, nel qual caso l’editore incorre nella violazione di uno dei diritti morali dell’autore e può doverne risponderne.

Valutando invece le problematiche dall’altro lato della barricata, la rogna più frequente per gli editori è il mancato rispetto, da parte degli autori, dei termini di consegna delle revisioni e la violazione dei patti di opzione e di prelazione. Inoltre, anche se questo non è un problema strettamente legale tranne in qualche caso che specifico sotto, segnalo a beneficio degli autori che gli editori si lagnano degli autori passivi, quelli che non fanno nulla per aiutare la promozione del testo e si fanno sentire solo una volta all’anno per il pagamento.

Certo l’autore non ha alcun obbligo in tal senso (anche se qualche editore inserisce l’obbligo di un tot di presentazioni nel contratto, cosa che sconsiglio sempre dall’accettare e fra un momento spiegherò perché). Tuttavia pensare che nel 2017 il lavoro dell’autore possa limitarsi solo alla fornitura del testo è anacronistico.

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La sinergia autore ed editore porta sempre il testo più in là di ciò che può fare ciascuno dei due singolarmente (vale anche per il self-publishing, a meno che l’autore possa investire denaro in figure professionali che lo aiutino) e gli editori, ultimamente, a parità di qualità del manoscritto tendono comunque a privilegiare l’autore proattivo e/o che abbia almeno una buona presenza online.

Tornando alla clausola che lega a un tot di presentazioni, la sconsiglio perché le presentazioni non sono il solo modo per aiutare la promozione e sono molto onerose per l’autore, sia in termini di spese di trasferta, sia per il fatto che stile di vita o impegni familiari possono essere un impedimento. Molto meglio lasciare gli autori più liberi e permettergli di fare le presentazioni che sono in grado di fare, oppure di fargli fare altri tipi di promozione.

Per questa stessa ragione, come sconsiglio agli autori di accettare clausole del genere, sconsiglio anche gli editori di inserirle. Non portano altro che malumori e una cosa fatta di malavoglia e solo per obbligo porta zero risultati. Ci si sieda assieme, volontariamente, per fare una pianificazione promozionale tenendo conto delle esigenze e dei limiti di ogni parte coinvolta. Sarà molto più fruttifero!

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L’editoria e gli autori sono davvero, come sembra, due schieramenti opposti che si contendono oneri e percentuali?

Purtroppo accade spesso e invece editori e autori dovrebbero essere consapevoli che lavorare su un libro è un gioco di squadra in cui i migliori risultati, come ho appena detto, si raggiungono coordinandosi e stimolandosi a vicenda e che è interesse di entrambi lavorare in sinergia perché solo così un libro può essere spinto al massimo consentito dalle rispettive ‘potenze di fuoco’.

In cosa ha influito l’attuale legislazione sulla crisi dell’editoria?

L’attuale legislazione andrebbe adeguata perché le estensioni analogiche non riescono a disciplinare agevolmente tutte le novità che sono emerse grazie allo sviluppo della tecnologia.

Tuttavia, a mio avviso, non è responsabile della crisi dell’editoria.

Quest’ultima è dovuta a due fattori, uno relativamente recente, l’altro storico: anzitutto la gabbia dell’euro, che per una serie di dinamiche che qui sarebbe fuori luogo trattare (ma gli interessati possono andare a sentirsi su Youtube le conferenze degli ottimi professori Alberto Bagnai e Claudio Borghi) sta erodendo sempre più la capacità di spesa degli italiani con la conseguenza che, quando i soldi sono scarsi, generi come i libri diventano superflui; a questo va aggiunta la scarsa, atavica propensione degli Italiani alla lettura, ancor più aggravata, a mio avviso, da una scuola che, anziché stimolarla proponendo letture commisurate alla fascia di età, si ostina a proporre mattoni indigeribili e anacronistici che spesso farebbero scappare anche un lettore adulto.

Se poi si pensa che le nuove generazioni hanno uno span di attenzione molto minore rispetto a quelle precedenti e al fatto che dispongono di una ben maggiore quantità di stimoli cui rivolgerla altrimenti, il disastro è servito.

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Piccoli editori, grandi editori: come credi evolverà la situazione?

I piccoli editori, secondo me, dovrebbero specializzarsi in due, massimo tre generi.  Il che significa non solo farsi una cultura in prima persona, ma anche avvalersi di collaboratori (editor in primis) che abbiamo un altrettanto solida cultura di genere.

Non serve a nulla fare mille collane o, peggio, rincorrere le mode, perché i grossi hanno più mezzi per adombrarle coi loro prodotti, mentre se un piccolo editore si fa una reputazione in generi di nicchia può acquisire una capacità di penetrazione che il grosso, impegnato su troppi fronti, non può sostenere. In breve, il grosso editore è potente nella promozione orizzontale, quella più immediata ed estesa, quindi l’editore dovrebbe concentrarsi sulla capillarità verticale, per così dire. Oltretutto, così facendo si evita di immettere sul mercato cloni orrendi, indistinguibili e ridicoli.

Lo stesso ragionamento vale fra l’altro vale anche per i piccoli librai rispetto alle grandi catene.

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Resisteranno i piccoli editori all’avvento di Amazon?

Amazon è un concorrente, è vero, ma ha anche bisogno degli editori, almeno al momento, per potersi sostenere. Se e quando dovesse diventare il più grosso editore mondiale, allora potrà anche sbarazzarsene, perché non avrà più bisogno di chi gli produce contenuto da vendere. Ma fino ad allora…

Oltretutto, a sentire le interviste rilasciate da Jeff Bezos, a me sembra che la direzione in cui punta non è tanto la produzione diretta di contenuti, attività meramente collaterale e incidentale, ma una sempre migliore esperienza di compravendita: il catalogo più vasto, al miglior prezzo, con la consegna più veloce. Questa è la USP di Amazon che ha permesso a Bezos di avere successo.

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Analizzando questi punti, si capisce che i piccoli editori, ma anche i grossi, hanno altri punti di forza da sviluppare: per esempio migliori contenuti (invece di certe ciofeche pubblicate, come dicevo, per seguire le mode) e la miglior esperienza di lettura. E credo che sia proprio in quest’ultimo punto che in futuro gli editori dovranno innovare, cambiare il modo di approcciarsi a un libro. In questo potrebbero fare sponda con le librerie e creare modelli sinergici che aiuterebbero entrambi. Queste ultime sono molto più prossime al modello di Amazon rispetto agli editori, eppure è provato che chi ha saputo innovare rendendo, appunto un’esperienza di lettura migliore, è sopravvissuto alla crisi. Credo che librai fisici ed editori possano e debbano unire le forze.

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Il mondo degli autori: oggi si parla molto di plagio, di copiature, di ispirazione… ci puoi spiegare dove finisce una semplice somiglianza e dove comincia un vero plagio?

C’è una errata percezione sul plagio, che è purtroppo molto diffusa. Molti pensano infatti che il diritto d’autore protegga le idee, mentre il diritto d’autore protegge la forma espressiva che le veicola.

In ogni caso, quello del plagio è un terreno insidioso, su sui persino la dottrina si è scornata nel tentativo di fare distinguo e ricavare definizioni che poi, al banco di prova di alcune fattispecie concrete, possono scivolare miseramente perché la realtà è sempre più fantasiosa della teorizzazione astratta.  Quindi, anziché farvi un resoconto di queste teorizzazioni astratte, provo a spiegarvelo con due esempi concreti: è stato considerato plagio di Harry Potter e la Pietra Filosofale un libro del russo Dmitry Yemets in cui si narrano le gesta di una strega undicenne che cavalca un basso al posto della scopa, frequenta una scuola di magia, diventa campionessa in uno sport giocato a mezz’aria con delle palle e si batte contro un antagonista che si chiama Chuma-del-Tort.

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La copertina del romanzo, fonte The Calvert Journal.

Pubblicato in Russia dalla casa editrice Eksmo, fu acquistato poi dall’editore olandese Byblos. Per difendersi dall’accusa, Byblos sostenne che si trattava di parodia di Harry e quindi di opera lecita. Tuttavia sia il giudice di primo grado che quello d’appello non furono convinti da questa tesi, ravvisando invece il plagio e la Byblos fu condannata alla refusione di 2500 euro di spese legali e all’inibizione della pubblicazione.

Nel 2009 invece, la sconosciuta Jordan Scott fece causa a Stephenie Meyer, famosa autrice della saga di Twilight, sostenendo che la trama del quarto volume di quella serie, Breaking Dawn, fosse un plagio del suo romanzo The Nocturne.

Il primo fu pubblicato nel 2008, mentre il secondo, parte di una trilogia fantasy in itinere, fu pubblicato in Rete nel 2006 e, poco dopo, auto pubblicato su carta.

Alla Meyer furono contestate, ad esempio, una scena di sesso dopo un matrimonio, il personaggio di una donna incinta di un bambino dai poteri malefici e una scena in cui la moglie di uno dei personaggi principali muore. Come si può ben immaginare, elementi così generici (e ben differenti dalle dettagliate circostanze copiate da Ymets nell’episodio precedente) non costituiscono affatto un plagio e infatti si ritrovano in milioni di romanzi. L’autrice sostenne che la Meyer si sarebbe spinta persino a riprendere intere frasi dalla sua opera: ad esempio, nella scena di sesso sopramenzionata, la Scott mise a confronto la propria frase:

“There was silence. It could have been no more perfect”

(C’era silenzio. Non avrebbe potuto essere più perfetto),

con quella della Meyer, laddove questa scriveva:

“The moment was so perfect, there was no way to doubt it”

(Il momento era così perfetto che non c’era modo di dubitarne).

Anche qui la contestazione è ridicola e non c’è bisogno di un legale per capirlo, è intuitivo per chiunque (tranne che per la Scott, evidentemente).

Come si vede, non si tratta di proteggere idee (che non sono non proteggibili) o moduli narrativi (pensiamo alle tappe del cammino eroico evidenziate da Campbell, che esistono in ogni racconto fantastico che abbia una struttura compiuta), o ancora figure archetipe o tratte dal mito e dal folklore e che pertanto appartengono al patrimonio collettivo dell’umanità. Si tratta di valutare se un’opera è riconoscibile in un’altra.

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Quali sono i passi da fare se si riscontra una violazione del proprio copyright?

Dipende molto dalla situazione concreta, dal tipo di violazione e dalla portata del danno che ne deriva. In linea molto generica, si può cominciare a contattare l’autore della violazione e chiedere la cessazione del comportamento lesivo, minacciando, altrimenti, un intervento legale.

Se a questo punto la violazione non cessa, si dovrà vedere se la fattispecie ricade nella competenza dell’Agcom, nel qual caso si può fare direttamente una segnalazione, oppure ci si potrà rivolgere a un legale per far inviare una lettera da quest’ultimo. Spesso la lettera di un avvocato sortisce l’effetto desiderato, ma qualche volta non è sufficiente. In questi casi è bene valutare, assieme al professionista, se sia economicamente giustificabile proseguire l’azione dinanzi al giudice.

Attenzione però che a volte accade che qualcosa sia percepito come violazione mentre non lo è., vedasi il presunto plagio della Meyer già citato. Quindi, se non si è sicuri, anche qui sarebbe meglio sentire un parere legale.

Gli autori che si affacciamo al mercato editoriale spesso sono confusi sulle proposte che vengono fatte. Hai qualche suggerimento per chi si trova ad affrontare la prima caccia al contratto?

Intanto è fondamentale non inviare a pioggia, bensì solo agli editori che si occupino dello stesso genere trattato.

Vale la pena anche vedere se è un editore presente sul web e come vi si pone, come è distribuito, se va alle fiere di settore.  Non sto neanche a precisare che gli editori a pagamento e a doppio binario vanno scartati subito, lo do già per “acquisito agli atti” come diciamo in legalese.

In secondo luogo il testo deve essere editato il meglio possibile, e questo significa parecchie revisioni intervallate da parecchio tempo fra l’una e l’altra, mentre c’è chi finisce la prima bozza, rilegge una volta e poi spedisce, col risultato che il testo sarà certamente una schifezza anche se l’avesse scritto Marcel Proust.

In terzo luogo è importante una buona lettera di presentazione e, se richiesta, una buona sinossi.

Infine è bene osservare le regole di invio che ormai quasi tutti gli editori specificano sul proprio sito e non tempestare l’editore di email chiedendo se ha letto il testo (anche qui ormai tanti editori specificano che se non si fanno sentire entro tot mesi il testo si intende rifiutato).

Se poi arriva l’agognata proposta, a quel punto bisogna leggere bene il contratto, domandare ciò che non si capisce e, ovviamente, se si può non guasta che un avvocato specializzato gli dia una sbirciatina.

Quando è tutto a posto, si può pensare a lavorare all’editing e quindi, alla promozione.

Aggiungo che non necessariamente il grosso editore è meglio del medio o del buon piccolo editore.  Spesso per il grosso si finisce per rappresentare solo un numero e conosco autori che hanno fatto esperienza di tutte le dimensioni e si sono trovate meglio con medi o piccoli. Certamente la potenza di distribuzione è inferiore, ma non sempre viene pienamente esercitata dal grosso, come già ho spiegato prima, e allora diviene inutile; e quanto all’aspetto interpersonale, il grosso può essere assai carente, oltre a essere afflitto da una burocrazia interna che rallenta, quando non vanifica, gli sforzi promozionali dell’autore.

 

È proprio vero che un contratto standard non può subire modifiche?

No, non è vero, e lo preciso nella risposta seguente.

Si sente parlare di contratti capestro: che cosa sono? Che cosa può fare un autore se si trova a doverne gestire uno?

Sono quei contratti con clausole molto sbilanciate a favore dell’editore. Purtroppo non sempre l’autore è in grado di valutarne la portata, sia a causa dell’inesperienza sia perché, comunque, valutare contratti non è il suo mestiere, che è invece scrivere buoni libri. Pertanto la scelta è fra firmare e sopportarne le conseguenze, o rivolgersi a un legale in modo da avere una valutazione e dei consigli migliorativi, il tutto con una spesa minore di quella che si pensa, e comunque si può sempre chiedere al professionista un preventivo senza impegno. Un piccolo investimento prima può salvare altri soldi (e dispiaceri) dopo.

Fra l’altro, vale sempre la pena tentare di negoziare delle clausole inique, perché alla peggio l’editore potrà rispondere che o si firmano o niente pubblicazione (e in tal caso si è fatto il tentativo ma non si è perso niente), ma tante volte invece l’editore acconsente ad ammorbidirle) ma più spesso di quanto si creda è possibile arrivare a una modifica, in parziale o addirittura totale accoglimento delle istanze dell’autore.

Due parole anche sugli agenti letterari: qual è la tua esperienza in merito? Quali sono i problemi che hai riscontrato più spesso nel rapporto fra autori, agenti ed editori?

Devo dire che, finora, non li ho mai rappresentati, al contrario ho rappresentato autori che agivano contro di loro. Forse – siccome il mondo editoriale alla fine è piccolo – non sono simpatica alle agenzie perché, a mia volta, non mi è simpatica la tassa di lettura che la maggioranza di loro applica e ne parlo sempre a sfavore…

Perciò posso indicare solo le problematiche rilevate da una parte della barricata, cioè quella autoriale.

Le contestazioni più diffuse sono, anche qui, il mancato o assai ritardato pagamento delle royalty incassate in nome e per conto e/o la mancata attenzione alle domande di aggiornamento. Ora è chiaro che un autore non deve essere una primadonna invadente che scrive ogni settimana all’agenzia, perché ovviamente non sarà l’unico autore rappresentato. Ma non va bene neppure l’altro estremo per cui a quesiti importanti tipo aggiornamenti sulle trattative già avviate con il tale editore o sul fatto che un editore talaltro abbia spedito le copie omaggio pattuite e sollecitate cadano nel vuoto.

Anzi, un agente non dovrebbe attendere di essere sollecitato dall’autore, dopo mesi di silenzio.

E mi permetto di affermarlo perché anche l’avvocato, per certi versi, si trova in una situazione analoga: svariati clienti con vertenze a vari stadi di progresso. E anche qui il buon avvocato notizia periodicamente il proprio assistito. Personalmente cerco di non far trascorrere più di due settimane fra un aggiornamento e l’altro.

Qualche volta ne possono passare anche tre, per carità, ma il cliente sa che avrà comunque mie notizie anche se dovesse trattarsi semplicemente di una comunicazione in cui gli dico che non ho notizie.

Se prevedo che ci voglia un tempo maggiore, allora lo avviso che ci riaggiorneremo non prima di tot mesi, perché a quel punto le tempistiche sono in mano ad altri, che siano giudici, liquidatori, curatori fallimentari o quant’altro. Se riusciamo a farlo noi avvocati, perché gli agenti non dovrebbero, considerato che, oltretutto, hanno sicuramente meno pratiche (titoli, nel loro caso) da gestire?

Per quanto riguarda il rapporto agenti-editori, quello che ho riscontrato essere l’attrito maggiore è rappresentato dall’insistenza dell’agente nel voler migliorare il contratto, onde tutelare meglio l’autore (e di riflesso se stesso) e dalla chiusura dell’editore ad apportare qualsiasi modifica.

A quel punto dovrebbe decidere l’autore, dopo essere stato informato dall’agente dei rischi che corre firmando un contratto troppo sbilanciato. E qui, di nuovo, possono aprirsi scenari di attrito fra autore e agente, perché se l’autore decide di firmare comunque, a volte l’agente non vuole che lo faccia e così rischia di far saltare la pubblicazione. Certo già qualsiasi rapporto a due della filiera non è facile, ma se pensiamo che qui c’è addirittura una triangolazione, si può ben capire quanto le cose possano complicarsi.

Grazie a Marina Lenti, e con voi lettori appuntamento alla prossima tappa del tour!

Qui potete trovare il sito in cui Marina scrive articoli sugli argomenti che abbiamo trattato e tanti altri, sempre a tema Editoria e Legge.

 

Il primo articolo sulla microeditoria