“Sguardi altrove” di Anna Fresu
“Sguardi altrove” di Anna Fresu
recensione di Emma Fenu
Guardo altrove.
Guardo oltre me, oltre le pareti, oltre le finestre aperte.
Oltre il mare mosso del Baltico, i tetti spioventi e lucidi, le dimore colorate sui canali.
Sono altrove.
Sono nel sud, che è mio.
Io sono figlia di grigio granito, di azzurro di mare nostrum, di venti di sabbia rovente, di lemmi che hanno perso l’aspirazione araba e spagnola, ma ne hanno conservato la malinconica musica.
Sono in Mozambico, sono in Argentina, sono in Sardegna.
Sono in mille vite e cerco. Cerco l’altrove.
Mi tingo di rosso le palpebre, le labbra, le gote, le mani.
L’altrove è in un vestito scarlatto di raso, da donna, o in cotone a quadretti, da bimba.
L’altrove è nelle crepe di una terra accoltellata, derubata, colonizzata, violata.
L’altrove è nel sangue ciclico che non c’è, per l’infanzia, o non c’è più, per la gravidanza, e che ritorna, fino a quando il cerchio della fertilità del grembo si chiude.
L’altrove è in un palloncino rosso, fatto dai brandelli di uno grande, che il sud del mondo riesce a far volare, bucando il cielo.
L’altrove è in un campo di rose purpuree di una serra impregnate dai veleni della coltivazione massiva.
L’altrove è la ferita di un poeta che trasuda di siero e libertà.
L’altrove è una canzone di gioia, di pianto, di speranza. Rossa come la vita, come l’amore, come il dolore.
L’altrove è nel vestito di una donna uccisa, un campo di neve sporcato da papaveri velenosi.
L’altrove è nella lamiera insanguinata sul ciglio della strada.
E poi, il rosso si stempera e diventa l’arancio delle Ande: sole che tramonta, foglie, anatre, capelli di donna. Pace, desiderio, parole, silenzi.
L’altrove sei tu, sorella mia.
E in te ritrovo me.
L’altrove sei tu, madre mia.
E in te rinasco io.
L’altrove sono io, in ogni sud a nord del cervello, che si scoglie nel cuore. Rosso.
La breve silloge di racconti opera di Anna Fresu, una donna dalla vita intensa che si snoda fra i continenti e si declina nell’impegno sociale e culturale, ha un titolo evocativo: “Sguardi altrove”. Sguardi verso poveri, incompresi, emarginati e dimenticati, ma non solo vittime poiché artefici di un destino che riscatti chi non ha più voce, ma è solo storia da non scordare.
Lo stile è asciutto, con virgole volutamente omesse per non concedere fiato, con discorsi indiretti che sfuggono dai caporali, eppure a volte culla e si culla nella metafora, si sofferma sul dettaglio minuto, assapora l’attimo infinito del ricordo che, liquido e salato, sa di mare.