Femminili singolari.

Il femminismo è anche nelle parole –

di Vera Gheno

recensione di Veronica Sicari

Femminili singolari

 

Con il suo Femminili singolari, Vera Gheno, sociolinguista specializzata in comunicazione mediata dal computer, affronta un tema che di recente ha infiammato i dibattiti pubblici, tanto a livello politico, quanto a livello social: la declinazione al femminile delle professioni.

Partendo dalle regole che governano la lingua italiana e riportando espressamente le diverse affermazioni che compaiono sui social sull’argomento, Vera Gheno cerca di far chiarezza sulla resistenza, mostrata da alcuni, all’uso di parole apparentemente nuove, smascherandone il sessismo inconsapevole che la anima.
E lo fa, sottolineando l’importanza e la funzione di tali femminili:

“succede che ciò che non viene nominato tende ad essere meno visibile agli occhi delle persone.

In questo senso, chiamare le donne che fanno un certo lavoro con un sostantivo femminile non è un semplice capriccio, ma il riconoscimento della loro esistenza: dalla camionista alla minatrice, dalla commessa alla direttrice di filiale, dalla revisora dei conti alla giudice, dalla giardiniera alla sindaca.
E pazienza se ad alcuni le parole ‘suonano male’: ci si può abituare.

Pazienza anche se molti pensano che siano solo schiocche velleità: le questioni linguistiche non sono mai velleitarie, perché attraverso la lingua esprimiamo il nostro pensiero, la nostra essenza stessa di esseri umani, ciò che siamo e ciò che vogliamo essere.

La lingua non è un accessorio dell’umanità, ma il suo centro.

Le parole vanno sapute usare nella maniera più precisa possibile, distinguendo con nitidezza tra questioni denotative (è normale chiamare con un nome al femminile una donna che svolge un certo mestiere?) e questioni connotative (suona bene/ suona male, è inutile, discrimina, non mi piace, è
un’imposizione, ecc.?).”

A partire da queste premesse, con un linguaggio facilmente accessibile anche a chi non è avvezzo a temi di linguistica, l’autrice, in Femminili singolari, cerca di smontare, una dopo l’altra, le più ricorrenti obiezioni sull’uso di certi femminili.

Talune resistenze propugnano la necessità di proteggere la lingua italiana da un ineluttabile imbarbarimento che deriverebbe dall’introduzione di parole di nuovo conio, come sindaca o avvocata.

La declinazione al femminile di talune categorie professionali sarebbe, dunque, una distorsione, una stortura, spesso definita cacofonica, delle radici del nostro linguaggio. In risposta a tali osservazioni, partendo dalle regole di formazione dei femminili nella nostra lingua,

Vera Gheno spiega come da un punto di vista linguistico, taluni sostantivi inediti siano forme in verità previste dal sistema dell’italiano, rimaste a lungo dormienti, perché inutili:

“…l’istanza è divenuta particolarmente attuale da quando la presenza di donne in certi mestieri o in certe posizioni apicali è diventata più comune.

Poiché per certi aspetti nomina sunt consquentia rerum, cioè i nomi sono conseguenza delle cose (se una cosa non esiste, non c’è bisogno di nominarla), e fino a tempi tutto sommato recenti non esistevano, o erano rarissime, donne che svolgessero determinati lavori o ricoprissero determinate cariche, molti nomi di professione o di cariche sono stati a lungo usati quasi esclusivamente al maschile.”

A titolo esemplificativo: ingegnera è la corretta declinazione al femminile di ingegnere, e la necessità del suo utilizzo è nata in concomitanza con l’aumentare delle donne insignite di quel titolo.
Non si tratterebbe, dunque, di un neologismo, ma di un femminile dormiente, divenuto necessario a raccontare una realtà ormai ampiamente diffusa, ossia la presenza di donne che svolgono quella data professione.
Del resto, si fa notare, non esiste alcuna ragione linguistica perché certi femminili professionali, come maestra, ostetrica o infermiera potrebbero essere pacificamente ammessi e altri, come avvocata, ingegnera, sindaca o assessora no.
Né convince la tesi della neutralità della funzione svolta, a volte utilizzata per evocare la neutralità degli stessi sostantivi di riferimento: in lingua italiana, il neutro, quale genere, non esiste.

E, se è vero che la funzione non ha genere, lo stesso non può dirsi di chi quella funzione esercita.

Del resto, a nessuno parrebbe appropriato rivolgersi ad un uomo che insegna in una scuola primaria, chiamandolo maestra.

Nel prosieguo del testo Femminili singolari,  l’autrice passa ad analizzare la piazza pubblica nella quale la questione dei femminili professionali viene affrontata con maggiore foga e, spesso, reazioni scomposte: i social.

E per farlo, sceglie di pubblicare diversi post comparsi in diversi social dove spesso i singoli utenti si lasciano andare a dichiarazioni che, prive di riscontri specialistici sull’argomento, hanno la pretesa di universalità.
Sconfessando la convinzione secondo la quale la questione, considerata – a torto – di recente emersione, deriverebbe da una certa parte politica, l’autrice affronta le inesattezze che caratterizzano molti dei commenti riportati, anteponendo l’ironia alla sfilza di insulti spesso ricevuta durante accesi botta e risposta social.
Precisa l’effettivo ruolo dell’Accademia Crusca nelle questioni linguistiche, a torto ritenuta autorità in grado di imporre dall’alto neologismi e nuove regole lessicali e grammaticali, specificando come l’Istituzione si limiti, di fatto, a registrare i cambiamenti linguistici già radicati nella società perché diffusi nella lingua utilizzata.

Ma soprattutto sottolinea come l’eventuale legittimo ingresso di parole di nuova emersione o di femminili inediti dispenda esclusivamente dall’uso della lingua che viene fatto dai suoi “parlanti”.

La lingua è, infatti, specchio della società.
Le resistenze all’utilizzo di determinate parole spesso derivano da un malcelato sessismo, di cui sono vittime tanto gli uomini, quanto le stesse donne.

“Da donna e da professionista sento che c’è ancora molta strada da fare, per raggiungere una parvenza di parità, non di uguaglianza. E l’aspetto linguistico può sembrare meno rilevante, nella pratica, ma è invece degno dell’attenzione di tutti”.

E per sottolineare come le parole siano importanti, è il caso di ricordare uno scritto, pubblicato da Stefano Bartezzaghi su Repubblica, e riportato anche nel saggio, che riassume molto bene la correlazione a cui accenna l’autrice:

Un cortigiano: uomo che vive a corte
Una cortigiana: una mignotta.

Un massaggiatore: un kinesisterapista
Una massaggiatrice: una mignotta.

Un professionista: un uomo che conosce bene la sua professione.
Una professionista: una mignotta.

Un uomo di strada: un uomo duro.
Una donna di strada: una mignotta.

Un uomo senza morale: un politico.
Una donna senza morale: una mignotta.

Un uomo pubblico: un uomo famoso, in vista.
Una donna pubblica: una mignotta.

Un segretario particolare: un portaborse.
Una segretaria particolare: una mignotta.

Un uomo facile: un uomo con cui è facile vivere.
Una donna facile: una mignotta.

Un intrattenitore: un uomo socievole e affabulatore.
Un’intrattenitrice: una mignotta.

Un adescatore: un uomo che coglie al volo persone e situazioni.
Un’adescatrice: una mignotta.

Un uomo molto disponibile: un uomo gentile e premuroso.
Una donna molto disponibile: una mignotta.

Un uomo molto sportivo: uno che pratica diversi sport.
Una donna molto sportiva: una mignotta (che pratica solo uno sport).

Un cubista: un uomo che dipinge.
Una cubista: una mignotta (?)

Un uomo d’alto bordo: un uomo che possiede uno scafo d’altura.
Una donna d’alto bordo: una mignotta.

Un tenutario: un proprietario terriero con una tenuta di campagna.
Una tenutaria: una mignotta (che ha fatto carriera).

Un passeggiatore: un uomo che cammina.
Una passeggiatrice: una mignotta.

Uno steward: un cameriere sull’aereo.
Una hostess: una mignotta.

Un uomo con un passato: un uomo che ha avuto una vita, in qualche caso non particolarmente
onesta, ma che vale la pena di raccontare.
Una donna con un passato: una mignotta.

Un maiale: animale da fattoria.
Una maiala: una mignotta.

Un lupo: animale feroce che vive libero.
Una lupa: una mignotta.

Uno squillo: il suono del telefono.
Una squillo: una mignotta.

Un uomo da poco: un miserabile da compatire.
Una donna da poco: una mignotta.

[…]
Un uomo di mondo (un mondano): un gran signore.
Una donna di mondo (una mondana): una mignotta.

Link d’acquisto

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Sinossi

Sindaca, architetta, avvocata: c’è chi ritiene intollerabile una declinazione al femminile di alcune professioni.

E dietro a queste reazioni c’è un mondo di parole, un mondo fatto di storia e di usi che riflette quel che pensiamo, come ci costruiamo.

Attraverso le innumerevoli esperienze avute sui social, personali e dell’Accademia della Crusca, l’autrice smonta, pezzo per pezzo, tutte le convinzioni linguistiche della comunità italiana, rintracciandone l’inclinazione irrimediabilmente maschilista.

Questo libro mostra in che modo una rideterminazione del femminile si possa pensare a partire dalle sue parole e da un uso consapevole di esse, vero primo passo per una pratica femminista.

Tutto con l’ironia che solo una social-linguista può avere.

Titolo: Femminili Singolari
Autore: Vera Gheno
Edizione: Effequ, 2019